Intervista a Giancarlo Leone – A rischio il settore audiovisivo

“I problemi del cinema sono già evidenti a tutti perchè hanno a che fare con la chiusura delle sale e con i film che non escono. Quello che sta accadendo e che potrà accadere nel settore audiovisivo (tv e piattaforme on demand, ndr) è ugualmente gravissimo ma ancora nessuno se ne rende conto». Parole di Giancarlo Leone, presidente dell’Apa, l’associazione che raggruppa i produttori dell’audiovisivo che ha lanciato l’allarme sul rischio che in pochi giorni le produzioni di intrattenimento per la televisione si riducano del 50% causa coronavirus e che però rincara la dose: oggi è la volta delle trasmissioni televisive con pubblico, domani sarà quella delle serie in cui c’è in ballo il 70/80% degli investimenti. Cosicché tra l’uno e l’altro segmento la perdita potrebbe arrivare ai 500 milioni di euro fino a toccare i 600/700 milioni per la filiera. Tra le serie di cui potrebbero non partire le riprese c’è la quarta stagione de “L’Ispettore Coliandro” e di “Rocco Schiavone” entrambe per la Rai, poi “Zero” per Netflix, “Tutta colpa di Freud” per Mediaset, “Anna” (Niccolo Ammaniti) per Sky.
Leone, ormai si parla di rischio dappertutto, quanta probabilità c’è per l’audiovisivo?
Abbiamo individuato tre tipi di rischi. Il primo è immediato: la fornitura di programmi di intrattenimento di prima serata, day time e degli altri momenti rischiano in parte di essere ritardati se non sospesi per le giuste restrizioni in atto. I produttori sono impegnati in una fornitura regolare di prodotti con effetti forti sui palinsesti, da cui dipendono gli ascolti e quindi la pubblicità. Sono programmi live o, se registrati, con magazzino di pochi giorni.
Quante produzioni possono subire problemi?
Non c’è una quantificazione esatta, stimiamo un 50% dell’intero numero di produzioni di intrattenimento in Italia.
Gli altri riguardano le serie immagino.
Sì. Intanto questo è il periodo in cui c’è la fìne lavorazione di serie tv in consegna. Da marzo fino a maggio si consegnano gli ultimi episodi che sono in produzione e post produzione in alcuni casi poco prima della messa in onda. L’augurio è che non vi siano effetti su questo. Ciò che ci preoccupa sono le nuove produzioni. Produzioni seriali che devono essere pronte per la consegna tra la fine di quest’anno e l’inizio dell’anno prossimo, comprese grandi produzioni con budget enormi. In questo caso il rischio è altissimo. Se anche partissero, qualsiasi evento, a partire da una persona del set che si ammala e quindi la necessaria quarantena, potrebbe metterle a repentaglio. E non viene data copertura assicurativa contro il coronavirus, ne possiamo auspicare che i broadcaster ci diano una garanzia sulla copertura economica nel caso di mancata produzione.
Anche perché il rischio è pure loro, sebbene in questa situazione gli ascolti stiano salendo.
Con l’impatto sui palinsesti ci possono essere conseguenze sulla raccolta. Poi i buchi si potranno coprire con contenuti di tipo diverso ma per questo settore che oggi sta facendo un grande lavoro e apprezzato da tutti il contraccolpo può essere notevole.
Cosa si può fare?
Da una parte servono interventi per evitare che i lavoratori, oltre 100 mila, ne paghino le conseguenze. Dall’altra c’è il problema della salvaguardia delle società di produzione, motore di questo modello produttivo. Il settore del cinema e dell’audiovisivo vale circa 1 miliardo di euro: 250 milioni dal cinema, 370 dalla serialità e più di 300 dall’intrattenimento, il resto da documentai·! e animazione. Questa macchina enorme rischia di frenare e franare.
Ma può andare avanti comunque o è destinata allo stop?
A mio parere bisogna costituire insieme al Mibact un’unità di crisi per monitorare e trovare soluzioni di volta in volta. Dall’altra bisogna aiutare le produzioni ad andare avanti trovando modalità di assicurazioni che possano intervenire anche in caso di coronavirus, con un intervento anche pubblico, per questo stiamo parlando con la Sace. Uno dei mezzi per ridare ai produttori un polmone finanziario che prima avevano è poi una deroga all’uso dello split payment, che è stato introdotto anche per le produzioni cinematografiche e audiovisive verso la pubblica amministrazione e quindi la Rai. In sostanza non ci viene pagata più l’Iva sui prodotti ma viene versata direttamente all’erario. L’introito dell’Iva ci consentiva di avere un certo margine di cassa prima del successivo nostro versamento. Oggi non è più così, ma la Rai investo 80 milioni all’anno sul cinema e 200 milioni sull’audiovisivo, cifre importanti.
Si può quantificare il rischio?
Difficile, ma una stima è di un potenziale rischio per il 70/80% delle produzioni seriali che cominciano da marzo in poi. Il valore fra, Rai, Mediaset, Sky e le piattaforme ott è di 350-370 milioni e molto di questo si concentra in estate: sono a rischio 250 milioni di investimento sulla produzione delle serie. Sull’intrattenimento, come detto, si parla del 50% minimo su un totale di 300 milioni.
Fonte: Italia Oggi